Avevo scritto, nell’estate scorsa, dei vini di Gambellara, ma dicevo che non m’ero capitato di bere il Vin Santo, ch’è raro parecchio. E dunque ecco che Lino Sordato, che il Vin Santo lo fa, me n’ha portata una bottiglia.
E prima di portarmi la boccia m’ha scritto, presentandosi, così: «Io sono un giovane enologo e da qualche anno lavoro nell’azienda di famiglia; da quando mi son immerso nella produzione del vino ho voluto ripescare la tradizione del Vin Santo che per una decina d’anni si era fermata nella mia famiglia. Dal 2004 quindi ho cominciato a raccogliere le uve, appassirle e spremerle per ottenere questo splendido vino».
Insomma, ecco che adesso l’ho provato, questo suo primo 2004, ed è però prova en primeur, perché uscirà solo in questi giorni, tra fine anno e l’inizio del 2008.
Ma prima di dire come l’ho trovato, riprendo ancora qualche parola del produttore: «Per produrre questo vino ci vuole tanto amore e tanta passione e il tutto comincia con la cura della vite, vite che già negli anni ’40 mio nonno Lino aveva piantato sulle colline vulcaniche (ricche di basalto) di Selva. Si prediligono vigne vecchie e di collina perché son quelle che producono meno uva, grappoli spargoli e dorati ricchi di sapore e di struttura. Verso la metà-fine di settembre l’uva viene raccolta scegliendo solo ed esclusivamente i grappoli migliori, i primi, o meglio, più vicini al fusto, dorati (tendenti al rosato, indice di un’ottima garganega di collina ben matura). Poi, una volta raccolti, portati in azienda, appesi su dei fili (come faceva il nonno) in granaio per un lungo e lento appassimento. E poi, nel mese di marzo-aprile la pigiatura per ottenere quel mosto così ricco e concentrato che successivamente andrà a fermentare in parte in damigiana e in parte in piccole botti di legno di varie essenze come un tempo si faceva. Ed infine il riposo per 3-4 anni prima della vendita».
Ora, eccoci al vino.
Giallo dorato. Oleoso e denso lo si vede girare nel bicchiere.
Bel naso. Cachi maturi. Nespola di bosco. Tabacco fermentato, bagnato. Spezia dolce. Rustico e fascinoso.
In bocca, ecco che il vino è grasso, e dolce, tanto. Mieloso. Lo zucchero è tanto, tanto, e il nettare rischia la stucchevolezza, magari, ma c’è freschezza che lo salva ed ha anche lunghezza notevole e avvolgenza.
Interessante, sì. E sarebbe interessante vieppiù riprovarlo fra un paio d’annetti o anche ben oltre, quando usciranno man mano le note terziarie e ci saranno i primi accenni d’ossidazione.
Due lieti faccini :-) :-)
10 dicembre 2007
domenica 3 febbraio 2008
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